Le origini del Carnevale Copertinese

di Fernando Verdesca

Non si può parlare di una lunga tradizione del “Carnevale Copertinese” se parlando di carnevale si pensa soprattutto alle maschere, ai carri allegorici e ai gruppi mascherati. Infatti mentre belle città vicine Nardò, Galatina, Lecce, Gallipoli già impazzava il Carnevale, specialmente nell’immediato dopoguerra con numerosissime allegre maschere danzanti, nella nostra città sopravviveva solo la maschere di “LU PAULINU”, maschera tragicomica, che in alcuni ambienti contadini rappresentava il simbolo del Carnevale.

Copertino era da secoli una città feudale, chiusa entro le mura antiche, con un Principe, un clero e pochi Nobili che possedevano una gran parte del feudo.

La grande massa era composta da contadini, braccianti e da modesti artigiani. Per questi cittadini, votati spesso ad una fame atavica, il Carnevale consisteva, solo e principalmente, in una grande abbuffata.

Da qui la crapule di quei giorni “segnati” durante i quali, e solo allora, si mangiavano le carni di qualche pecora o di qualche asino azzoppato, il pesce fritto degli “Iaticari” o dei “Pitanti” e si beveva qualche buon bicchiere di vino nelle fumose bettole del centro storico.

Da qui forse nacque la maschera di “LU PAULINU”.

Il Carnevale aveva inizio il 17 gennaio con la “focara” di Sant’Antonio ti lu “fuecu” (rito propiziatorio) e si chiudeva con “la focara” con cui si bruciava “LU PAULINU” – Eroe e simbolo stesso del Carnevale. – Questo pupazzo fatto di paglia e di stracci, veniva portato in spalla da alcuni buontemponi, e poi veniva dato alle fiamme. Per loro significava la fine di un epilogo di un periodo di baldoria. Forse era l’inconscio retaggio di remoti riti pagani durante i quali bruciavano nel fuoco gli spiriti del male o di quel fanatismo religioso che aveva bruciato le streghe.

Le maschere erano lugubri o ridanciane (come quelle delle lontane tragedie greche) e ricoprivano il volto di coloro che danzando attorno al fuoco dileggiavano il simbolo che “LU PAULINU” impersonava.

Queste stesse maschere comparivano in piena estate a conclusione dei primi raccolti.

Intagliate su grosse zucche, “cucuzze pacce” illuminate interamente con una candela vagavano per le campagne sulle teste di altissimi contadini, paludati di bianco ed anche quella loro esibizione finiva attorno al fuoco con abbondanti libagioni.

Carnevale e Ferragosto erano due periodi che iniziavano e concludevano due cicli di lavoro agricolo. Forse inconsciamente la tradizione popolare li ha fatti giungere sino a noi alterandone il significato e la stostanza stessa del rito.

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